Il lavoro radiofonico
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IL LAVORO RADIOFONICO
L'avventura radiofonica, come succede per molte avventure, è cominciata un po' per caso. Nel 1972 assistemmo a una rappresentazione teatrale molto particolare: un gruppo di pazienti dell'ospedale neuropsichiatrico di Mombello, nell'ambito di attività ludiche e terapeutiche avevano messo in scena, nel teatrino dell'ospedale, nientemeno che il Macbeth di Shakespeare. Una performance sconvolgente per la cruda essenzialità della rappresentazione, ma soprattutto per l'aderenza totale di quei particolari attori ai loro personaggi. Subito nacque l'idea di documentare quell'esperienza così singolare. In quegli anni eravamo soprattutto impegnati con la fotografia, anche se da tempo pensavamo a progetti cinematografici e teatrali. Così presentammo immediatamente il progetto per un film-documento a Italo Moscati, curatore del settore "cinema sperimentale" della RAI. Con nostra sorpresa Moscati ci rispose che il progetto non era "sufficientemente sperimentale" e in linea con l'impegno "sociale e politico" del suo settore... E pensare che erano gli anni nei quali lo psichiatra e neurologo Franco Basaglia si stava battendo per riformare e umanizzare i luoghi di cura dei pazienti psichiatrici... (segue più sotto)
(le immagini): Aldo Tagliaferro, "Identificazione - Teatro trasposizione", 12 foto su carta cm. 29x42. Una sequenza di immagini che Tagliaferro scattò durante la nostra registrazione del Macbeth nell'ospedale neuropsichiatrico di Mombello, 1973)
...Ma non ci demmo per vinti: così, con l'amico fonico Franco Bellini, ancora free lance, decidemmo di auto-produrre la rappresentazione teatrale del Macbeth realizzata dai pazienti di Mombello, registrandola su nastro magnetico, accompagnata dalle toccanti testimonianze dei pazienti-attori sulla loro condizione all'interno del manicomio. Poi, con l'aiuto di un altro caro amico, Pierluigi Gasparotto, allora funzionario a contratto del centro di produzione RAI di Milano, presentammo il progetto a Aino Piodi, in quegli anni responsabile della produzione culturale e teatrale radiofonica della sede di Milano, il quale colse immediatamente l'originalità e l'attualità dell'idea e la sottopose al dirigente di Radio Tre. Ecco, fu con la sola nostra tenacia che debuttammo nel mondo dei suoni. Ma non fu l'abbandono del linguaggio dell'immagine. Le due esperienze non potevano che integrarsi. La radio, come tutto ciò che è suono, è percezione di un codice immaginativo, e l'ascoltatore, secondo la sua sensibilità, ricostruisce i suoni percepiti in una sequenza narrativa di immagini mentali.
Il passo successivo fu quello di sperimentare e verificare tutto questo nel luogo dove questo lavoro di ricerca, a quel tempo, era ancora possibile: cioè il prestigioso Laboratorio di Fonologia della RAI di Milano, fondato da Bruno Maderna e dal grande e creativo tecnico del suono Marino Zuccheri. Fu grazie a quell'esaltante clima di sperimentazione, dove musicisti come Maderna, Luciano Berio e Luigi Nono avevano posto le basi per una nuova ricerca musicale e sonora, che avemmo l'opportunità, con l'aiuto di Zuccheri, di elaborare e trasformare voci, suoni e rumori registrati in auditorio durante la lavorazione delle nostre primissime produzioni radiofoniche con l'apporto di numerosi attori: Borges nel labirinto (1974) e Carlo Porta, milanese (1975). Fu in quel magico Laboratorio che imparammo a definire il linguaggio e lo spazio radiofonico.
Prima fu la Radio, poi il Teatro
Quello che potrebbe sembrare un percorso obbligato, vale a dire il necessario lavoro con l'attore sulle assi di un palcoscenico, il confrontarsi con gli autori e le loro parole dentro la nativa struttura teatrale per la quale sono state pensate e create... ecco, a noi è capitato l'esatto contrario. Ma non per una volontà programmata. Semplicemente è arrivata prima l'opportunità di produrre per la radio, anche se il teatro rimaneva un obiettivo irrinunciabile. In fondo, anche la nostra attività di fotografi era nata, professionalmente, in teatro, al Piccolo Teatro, dove, in due intense e formative stagioni potemmo seguire il lavoro di regia di Giorgio Strehler e di Virginio Puecher e dei loro assistenti, degli scenografi, dei costumisti, dei datori luci, dei tecnici di palcoscenico, degli organizzatori... Da quei grandi registi imparammo che una messa in scena, di qualunque genere essa sia, è prima di tutto la prestazione di un'immaginaria orchestra che suona tutta insieme; dove il solista, se c'è, fa comunque parte di un ampio disegno orchestrale. Ecco, questa primaria lezione di regia noi abbiamo cercato di portarla ovunque, sia nello studio radiofonico come sulle assi di un palcoscenico. Da quei maestri abbiamo imparato che la regia, oltre a stabilire l'"idea", la "linea" di uno spettacolo, è anche questo: far sentire che gli attori e i collaboratori artistici e tecnici sono parte importantissima di un tutto, e che in questo disegno devono servire allo "stile" dello spettacolo, dove nessun "mattatore", può cantare su un registro estraneo al disegno generale.