Artemisia
Autobiografia
LETTURE
Artemisia Gentileschi
LETTERE precedute da ATTI DI UN PROCESSO PER STUPRO
A cura di Eva Menzio
con un saggio di Annemarie Sauzeau Boetti
e uno scritto di Roland Barthes
con un saggio di Annemarie Sauzeau Boetti
e uno scritto di Roland Barthes
pp. 176, EURO 20,00

[…] Quando fummo alla porta della camera lui [Agostino Tassi] mi spinse e serrò la camera a chiave e doppo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ch’io non potessi serrarle et alzandomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi…
Era il 18 marzo del 1612 quando la giovane pittrice Artemisia Gentileschi (1593-1653?) venne interrogata dai magistrati del Tribunale Criminale del Governatore di Roma sui suoi rapporti con il pittore Agostino Tassi, suo maestro, e sulle circostanze dello stupro subito nella primavera del 1611, ma stranamente denunciato soltanto un anno dopo dal padre di Artemisia, il pittore Orazio Gentileschi, che accusava del grave reato l’amico e collega Tassi. Uno strano ritardo, tanto da far ipotizzare che alla decisione della tardiva denuncia contribuirono attriti e sospetti verso il Tassi per il furto di un quadro, “una Giuditta di capace grandezza”, che il Gentileschi insieme allo stupro della figlia volle denunciare nella supplica a Papa Paolo V, affinché provvedesse per “li debiti termini di giustitia”.
Durante il processo che ne seguì, Agostino Tassi negherà sempre di aver violentato Artemisia. D'altronde, leggendo attentamente gli atti del processo si possono notare le evidenti contraddizioni in cui inciamparono i numerosi testi. Scrive Eva Menzio, curatrice del volume, “Assai complesso fu, infatti, il rapporto tra Artemisia e Agostino. Molti elementi indurrebbero a pensare che la giovane discepola era stata anch’essa in qualche maniera complice di quell’uomo spregiudicato più vecchio e celebre di lei, poiché, se anche ci fu vera e propria violenza, ella non disdegnò poco dopo di intrattenersi con il suo seduttore: si sa che il rapporto carnale o la violenza (ma si può continuare a chiamarla così?) fu ripetuto ‘più e più volte’”. È tuttavia certo che Artemisia fu ingannata dalla promessa di Agostino di sposarla, tacendole la realtà di una moglie abbandonata a Livorno. Durante il confronto fra i due, affranta dal dolore che le procuravano i “sibilli” che le torturavano le dita perché dicesse la verità, Artemisia ripeté più volte, mostrando le mani: “Questo è l’anello che tu mi dai, et queste sono le promesse”.
Su Artemisia Gentileschi pittrice: Roberto Longhi, Gentileschi padre e figlia, con uno scritto di Mina Gregori, Ed. ABSCONDITA, 2011. Fondamentale saggio giovanile del Longhi (1916), alla riscoperta di Caravaggio e dei pittori caravaggeschi.